50° anniversario dei “Fatti di Avola”: il presidente della Regione siciliana scriverà a Mattarella per desecretare le carte sul caso

Togliere il segreto alle carte, vecchie di 50 anni, sepolte negli archivi del Viminale per capire cosa accadde davvero il 2 dicembre del 1968 ad Avola, quando la polizia sparò sui braccianti in sciopero uccidendone due e ferendone altri 48. È la richiesta unanime partita oggi da Avola, durante una manifestazione per ricordare il mezzo secolo da quella strage rimasta senza colpevoli visto che né la magistratura né l’inchiesta amministrativa del ministero dell’Interno arrivarono mai a delle conclusioni. A raccogliere l’invito è stato, in particolare, il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci che al termine del suo intervento ha assicurato: “Mi impegno già da domani a predisporre una lettera da inviare al presidente Mattarella per ricucire questa ferita ancora viva nelle famiglie di Avola. Non è una rivalsa ma un atto di giustizia”.  A rivolgersi direttamente al governatore Musumeci – alla presenza dei familiari delle vittime di cinquant’anni fa, a partire da quelli di Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona rimasti uccisi quel giorno sotto il fuoco della polizia – era stato il segretario generale della Fai Cisl, Onofrio Rota, intervenuto alla manifestazione di stamattina assieme ai suoi colleghi di categoria di Cgil e Uil: “E’ sempre facile parlare alla pancia delle persone – ha detto Rota – ma questo Paese ha bisogno di giustizia, non di altra rabbia. Avola è una comunità ancora ferita da quell’evento, per questo faccio appello anche al presidente della Regione Musumeci affinché si chieda, tutti insieme, al presidente Mattarella di desecretare gli atti e riaprire una riflessione profonda su cosa accadde veramente quel giorno”.  Ad Avola molti ricordano in questo senso le tante promesse mancate in questi cinquant’anni, compreso il mancato riconoscimento di un risarcimento o di un vitalizio ai familiari delle vittime. Tuttavia si spera che finalmente questa sia la volta buona per sollevare il velo su quei tragici fatti che videro contrapposti braccianti agricoli che chiedevano condizioni di lavoro più dignitose e poliziotti (arrivati dal Reparto Celere di Catania) cui qualcuno ordinò di sparare ad altezza d’uomo.

La Sicilia

La Stampa

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